TEATRO DEL LEMMING – METAMORFOSI nel labirinto della memoria

DAL 13 AL 23 APRILE 2023 – TEATRO STUDIO | Rovigo

NEL LABIRINTO DELLA MEMORIA, ispirato alle Metamorfosi di Ovidio, conduce i partecipanti all‘interno di un percorso labirintico, che è  insieme anche un‘immersione radicale, intima e personale nello spazio del rito, del mito e del sogno.

“Sospeso, magmatico, avvolgente, (ri)mette al centro sensi e contatto fisico. Liberamente ispirato ad Ovidio (ma anche a Rilke, Dante, Merini e ai miti classici greci), lo spettacolo-creazione di Massimo Munaro, ci regala il senso perduto del vero rito.” Stefania Chinzari

“L’essenza stessa di questa esperienza, è la possibilità di mettere in contatto, l’intimità più singolare del nostro esserci contingente dentro il tempo della storia, con la memoria archetipica che ne costituisce, junghianamente, l’universale alimento, la condivisa risonanza che, nella sua manifestazione drammaturgica, rende possibile essere noi stessi e insieme parte degli altri, ovvero del Tutto.” Maria Dolores Pesce

Nel labirinto delle memoria, ultima creazione del Teatro del Lemming, può essere considerata quasi una summa poetica, poiché ricollegandosi alla Tetralogia dello spettatore, che tanto ha significato nella storia del gruppo, quest‘opera contiene tutti gli elementi costitutivi della singolare poetica del gruppo.

Commenti (8)

  • Ciao a tutti e…grazie ancora.
    Non so, ero già scosso dalle sorprese e quindi aperto ed indifeso e lo spettacolo mi è entrato dentro tantissimo.
    La parte che ancora mi rimbalza addosso è quando la voce dice “sono stato acqua, sono stato roccia sono stato questo sono stato quello….”, credo abbiamo tutti dentro tutte quelle cose, inclusi i tanti personaggi….e dovrebbero danzare, invece per qualche ragione particolare uno prende risalto sugli altri e poi si vive come se le altre non esistessero.
    Penso a parti di me che hanno avuto il sopravvento e sono uscite perché han trovato la possibilità di farlo e forse se ci fossero stati altri contesti ne sarebbero uscite altre….
    Certo questo è un po’ svilente perché è come dire che non esisto e dipendo solo da ciò che succede fuori, ma a parte questo che comunque è vero, almeno un po’, un bel po’ forse, …ha l’aspetto anche della curiosità e mi fa chiedere:
    ma quante cose sono stato e sono e potrei essere?
    Vorrei danzare sul cerchio che è fatto da infiniti punti, ….punti di vista.
    Scusate ma ho una certa età ormai e l’ho vissuta con molta intensità.

    Fabrizio

  • 30/04/2023
    Cari attori e Massimo,
    vi scrivo dopo un po’ di giorni da quando ho vissuto il vostro spettacolo.
    Ricordare quel momento è come ricordare un sogno: le immagini sono vivide anche se a tratti
    persistono solo le sensazioni, arrivano come dei flash che non riesco ad interpretare. Scrivere di
    questo spettacolo non è semplice, sento una fitta memoria sensoriale che non riesco a mettere in
    ordine.
    Ho vissuto tutto come un’esperienza reale sulla mia pelle e non come quella di un’altra persona,
    sono stata travolta da un flusso in cui mi si sono materializzati i ricordi di una vita.
    Parto dalla vestizione che mi ha fatto subito cambiare l’assetto, non ero una spettatrice ma una
    partecipatrice. Prendere parte al rito mi ha connessa con aspetti mitologici, viscerali e ancestrali.
    L’aria che si respirava era sacra e allo stesso tempo demoniaca. In questa fase mi sono unita
    all’acqua, al fuoco, alla terra, all’aria, agli animali, alla creazione, al bambino, alla bestia, alla
    fecondità, alla nascita, alla morte, all’amore, al niente e al tutto. Si è costruita una rete tra noi
    partecipatori e attori, ho visto crearsi nello spazio dei fili che ci legavano come se le vite degli
    esseri viventi fossero legate da una ragnatela invisibile.
    Tutti siamo passati attraverso il rito, la vestizione, i ricordi, erano diversi per ciascuno di noi ma
    allo stesso tempo uguali. Ci si poteva rispecchiare, sentivo che potevamo condividere uno stesso
    destino e che non siamo poi così diversi gli uni dagli altri. Esiste una connessione e un’energia
    che ci unisce.
    Finito il rito sono entrata letteralmente in un vortice pregno di vita. In questa vita ho vissuto un
    amore fatto di desiderio, divertimento e incantamento: ho incontrato la mia anima gemella. Ho
    vissuto perdizione e inquietudine di vivere. Ho toccato il fondo e sono risalita, ho piantato il seme
    del cambiamento e della rinascita. Ho vissuto la morte, la disperazione e la follia. Ho incontrato il
    mio spirito guida, la me bambina che si diverte e che si ama per come è.
    Il momento di riconciliazione con gli altri viaggiatori è stato potente, la parola che unisce, il
    contatto che strige. Per poi crollare in un sonno candido, leggero, etereo come tornare nella
    pancia della mamma. Per me è stato come dormire da bambini con tanti fratelli con cui ho giocato
    e ho vissuto veramente.
    Quando sono uscita dal teatro studio sono stata pervasa di emozioni. Ero in una corrente di
    sentimenti esplosivi come dei fuochi d’artificio. Che grande condivisione.
    Ho sentito di aver potuto vivere dei ricordi di qualcun altro come miei ed era una cosa che non
    avevo mai provato. Alla fine credo che una cosa molto affascinante di questo spettacolo sia quella
    di poter far vivere il proprio flusso, grazie al lavoro degli attori che ascoltano, si adeguano e
    dialogano. Questa è davvero la base che permette la libertà e la realtà.
    Aver vissuto uno spettacolo che potrebbe essere distante dalla vita di tutti i giorni, è stato invece
    più vicino ad una natura profonda che sento dentro di me.
    Un aspetto più tecnico che però mi ha colpito, è stato l’uso dello spazio. Un’opera monumentale
    che mi ha permesso di entrare nelle varie camere del mio cervello metre sogna, però dal vivo.
    Solitamente quando ricordo i sogni mi ricordo molto i particolari e anche qui mi sono rimasti
    appiccicati nel corpo. Mi ricordo minuziosamente ogni cosa perché l’ho vissuta profondamente
    lasciando fuori il cervello e andando di cuore seguendo quello che accadeva.
    È stato un viaggio ultraterreno.
    Grazie per quello che fate.
    Un abbraccio forte a tutti e a presto.
    Elisa

  • L’esperienza vissuta è stata coinvolgente sotto ogni aspetto della persona: sensoriale, corporeo, psichico e spirituale. E’ un percorso di vita e di morte, di nascite e di rinascite, di lutti e di rimozioni. Tutti i personaggi, i simboli, i segni, le entità, le identità, i luoghi e i non luoghi, ecc.. vengono “sbattuti” come spot di ricordi e di incosci rimossi. Ho avuto la possibilità di vederli, di affrontarli e di viverli ad occhi aperti nel quì ed ora e non nei sogni notturni. Una opportunità unica e irripetibile per una seria e profonda riflessione dell’anima. Grazie

  • Lo spettacolo mi è apparso come un rito per entrare nella vita, la vita vera, dove ciò che vedi è solo il riflesso di ciò che è, dove tutto muta in un attimo, dove tutti i corpi mutano in forme nuove.

    Ma non ero sola, ad accompagnarmi, a guidarmi, in questo viaggio ho trovato attori giocosi ed ingenui come bambini ma allo stesso tempo consapevoli come vecchi saggi.

    La vicinanza, il contatto è rassicurante, mi ha fatto sentire protetta, non ero sola ad affrontare morte, dolore, amore, passione, spensieratezza e riflessione. Non ero sola ad affrontare i repentini cambiamenti con cui esse si interscambiavano ed apparivano, portando sensazioni forti di sorpresa, smarrimento, dobbio e gioia.
    Emozioni inattese ma bramate, ricercate da quella parte di me che vuole vivere appieno, assaporando quei frammenti di vita, appartenenti alla memoria di qualcuno, magari la mia?

    Il rito è terminato con una speranza: ‘Io vivrò!’
    Noi 5 iniziati alla vita siamo poi stati condotti in un letto e cullati, come bambini.

    Ci siamo risvegliati da quella dimensione onirica, che apparteneva alla rappresentazione, per cercare forse di portare qualcosa, di quel sogno propiziatorio, nella vita quotidiana.
    Grazie

  • L’Urlo di Munch. Da quando ho imparato a conoscerlo, è diventato uno dei miei dipinti preferiti, tanto da aver deciso proprio ora di indossarlo sotto forma di foulard, mentre scrivo. L’angoscia che ne deriva, i colori violenti, il terrore della solitudine interiore, questo volto disperato.. Li riconosco, li conosco, e paradossalmente mi affascinano. Rileggo questa sensazione negli sguardi degli attori, verso cui cercavo di dare il più possibile, volevo esser partecipe del momento, in qualche modo volevo dimostrare di saper tracciare un ponte tra me e ognuno di loro. Non avevo intenzione di distrarmi un attimo dal presente, il rito era così elevato, così magico.. ma anche così distante da me.

    Guardandoli muovere con tanta passione, pensavo “ANCH’IO!”, perché avrei voluto fare lo stesso.
    Un’aura di solennità avvolgeva qualsiasi cosa, e al momento dell’ingresso della Grande Madre sentivo di assistere a qualcosa di immensamente sacro. È forse questa la spiritualità che vado cercando?

    Tutto ciò che accadeva attorno a me pian piano si disfava di ordini cronologici, carico com’era di significati che nemmeno cercavo di cogliere. Volevo già da subito accettare ogni cosa con naturalezza spirituale, come se mi appartenesse da sempre. “Tutto è pietra”. Le parole si lasciavano carpire nella loro semplicità, non potevo che assaporarne la poesia.

    Volevo accogliere ogni sguardo angosciato, sostenerne il peso spremendo tutta l’empatia che potevo contenere, e in ognuno di loro riconoscevo un essere umano vero, una creatura come me. Sono transumanati, passati da persone comuni ad archetipi, e a tratti mi sembrava di conoscerli da sempre. C’erano volti consapevoli, amorevoli, sicuri, disperati, alcune volte erano sorrisi accoglienti, altre erano risate demoniache. Sentivo di non averne minima paura, non dovevo averne paura, perché riuscivo a riconoscere tutto e tutti inconsciamente, sebbene razionalmente non capissi nulla. Vivevo in un sogno cosciente, lasciavo accadere le azioni avventate, le assurdità, le immagini contrastanti. Mi piaceva immensamente.

    Amavo percorrere alla cieca i viottoli bui, come i tendaggi mi sfioravano mi caricavo di energia, quasi sembrava un’altra dimensione, un sogno, ed ero così meravigliosamente ME in quei momenti. In fondo ad ogni stanza si nascondeva un’incognita ne non vedevo l’ora di cogliere più dolcemente possibile. In qualche modo amavo quella sensazione di incertezza. Ero in mano loro e volevo fidarmi.

    Così, quando c’era del contatto, in ogni occasione mi piaceva farmi avanti quasi con sfida, e guardare da molto vicino cosa mi offriva il momento, giocare, ascoltare i respiri, assistere al vuoto che quella malinconia ricorrente assaliva qualsiasi gesto.
    Alla fine, una stanza dalla luce giallo aspro, un volto distrutto di una donna, una bambola morta, una culla, un velo.. Ho pianto all’improvviso, senza apparente motivo, so solo che ciò che ho visto lì mi metteva e mi mette ancora una gran tristezza. Ma non mi sentivo veramente male.
    Mi sentivo a casa.

    Dal basso della mia giovane ingenuità, ma dall’alto della profondità a cui ho imparato da pochi anni a scendere, credo di voler essere davvero partecipe di tutto ciò, in un vicino o lontano futuro. Sto di recente indagandomi su che cosa sto davvero cercando, e ho capito, ricordando anche com’ero a pochi anni di vita, che ciò che voglio non è banale quotidianità. Ho da sempre avuto un certo timore degli estremi della modernità, e ho altrettanto avuto paura di diventare come tutti quanti. Forse è merito di tanti anni di solitudine se ho conservato meglio la mia unicità. Vorrei vivere a contatto con me, con la natura e con le emozioni. Vorrei continuare sempre a inseguire la sacra passione della cultura, la poesia, la danza e soprattutto l’arte, che mi ha accompagnato fin da quando gattonavo. Voglio diventare grande e continuare a gattonare nella terra. Voglio essere Me più coloratamente possibile, a tutti i costi, e forse sarà il teatro la mia strada.

  • È stato un viaggio dall’interno verso l’interno in cui ho dovuto catapultarmi. L’unica fuga contemplata è solo il breve passaggio tra un frammento e l’altro della vera coscienza che ci tiene vivi nelle sue tante sfaccettature rappresentate dalle stanze del labirinto. Questa esperienza per me è stata un’esplorazione dell’io da un punto di vista più profondo e vissuto intensamente come rito di passaggio necessario per donarsi alla vita totalmente, tornare alle radici ed innalzare al cielo ogni dolore ed ogni gioia come il pianto del bambino che viene al mondo. Rinascere dalla madre, ancora una volta

  • Io voglio CANTARE!!!
    Seduto fuori dal teatro, dopo quest’esperienza che non ha termini per essere espressa a parole, talmente mi trovo a desiderare che non fosse finita mai, che fatico ad andarmene via da questo luogo sospeso in un’altra dimensione..
    Sembra di aver vissuto una favola esoterica dove cessano i confini tra il mondo interno e quello esterno trasportando il proprio essere in una realtà sconosciuta seppur famigliare, forse proprio perché si tratta di una realtà appartenente a sé ma apparentemente persa.
    Esperienza meravigliosa!

  • Arrivo per la prima volta al Teatro del Lemming, d’istinto mi iscrivo a questo evento, concependolo come un evento teatrale tradizionale. La sorpresa nell’avventurarmi, spogliandomi di una piccola parte della quotidianità nell’abbigliamento è stata grandiosa!
    La calma, intesa come il silenzio e la contemplazione, unita sapientemente alla fretta e alla frenesia dei movimenti, nel passaggio dal tragico alla catarsi è stato terapeutico, anche nel confrontarmi con persone che non conoscevo. Il fascino dell’ignoto, quindi, in un’esperienza sensoriale davvero fortissima!

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