TEATRO DEL LEMMING – ATTORNO A TROIA

DAL 28 FEBBRAIO AL 02 MARZO 2025 – TEATRO STUDIO | Rovigo
SABATO 14 GIUGNO – Festival Opera Prima | TEATRO STUDIO | Rovigo
Questo lavoro si costituisce come terza parte di un ciclo che, dall‘Iliade alle Troiane all‘Eneide, intende indagare il tema della distruzione di una civiltà, dello smarrimento e dell‘esilio.
Attraverso questo ritorno alle radici della nostra cultura vogliamo interrogarci sulla possibilità della conservazione di una identità culturale, la nostra, della sua trasformazione e di una sua possibile rifondazione.
Il periodo storico che stiamo vivendo fa sentire ciascuno di noi come Achei lanciati alla distruzione di città e contemporaneamente come Troiani alla deriva. Il nostro volto sempre più assume su di sé il volto del conquistatore insieme a quello dello sconfitto. Giochiamo entrambi i ruoli, alternativamente, nella ruota della storia. Oggi essi però sembrano darsi contemporaneamente. Siamo i distruttori del pianeta e insieme, proprio per questo, attraverso i cambiamenti climatici, le guerre e le pandemie, le vittime di questa distruzione.
E nella terribile condizione dei migranti sta insieme l‘origine e il destino della nostra civiltà. Dopo i lavori su ILIO e TROIANE questo terza parte si concentra sulla figura di ENEA come archetipo dello slancio utopico verso una possibile rifondazione.
“Questo teatro, diverso, anti-tradizionale, che quotidianamente lotta per la propria sopravvivenza, rappresenta una piccola rivincita nei confronti di quel segmento di realtà che tenta silenziosamente di narcotizzare la coscienza di un uomo che, per poter comprendere e interpretare il proprio mondo, sembra volersi avvalere sempre di meno del potenziale ermeneutico ed euristico delle arti“
Giacomo Fronzi
In un primo momento, ciascuno degli otto partecipanti assiste ad una battaglia tra due fazioni, Achei e Troiani, sulla linea di conflitto che separa le due parti; in seguito, viene coinvolto attivamente nell’opera, prima venendo accompagnato sul campo di battaglia da uno dei combattenti, e poi recandosi da ciascuno degli attori-guerrieri, ognuno dei quali condivide un oggetto diverso: un pettine, dei semi, una rosa, tutti elementi che uniti coinvolgono pienamente i sensi dello spettatore. Lo spettacolo si conclude in una confortante unione umana, sia tra gli attori prima rivali, sia tra i partecipanti allo spettacolo.
Una voce lontana ci accompagna nell’arco dell’opera, paragonando gli scontri epici rappresentati a quelli presenti, ma con una differenza: se un tempo gli scontri erano voluti da Ares e gli altri dèi dell’Olimpo, ai giorni nostri chi è a ordinarli? È forse parte della natura umana?
Nicolas A.
Il profondo parallelismo che il Lemming vuole presentare tra il passato e il presente, specialmente nella sofferenza umana e nelle barbarie che sin dall’antichità l’uomo crea, dà spazio ad una riflessione nello spettatore: l’uomo non è poi cambiato così tanto, anzi più le tecnologie sono avanzate più è riuscito a creare modi per colpire più persone. Ciò è particolarmente visibile all’inizio dell’opera: la voce di Munaro scandisce prima versi dell’Iliade poi testate giornalistiche riguardanti i principali conflitti bellici attuali, in contemporanea gli otto attori presenti, divisi in due fazioni imitano una crudele guerra mentre gli spettatori sono collocati in un ipotetico confine fra le fazioni. Pienamente in linea con le teorie di Munaro circa il coinvolgimento dello spettatore, questo si sente assolutamente parte dello spettacolo. Prova dolore dinanzi alla bambola di un bambino morto nelle braccia della madre disperata, divertimento davanti all’interpretazione di un bambino che gioca. Tuttavia ci si rende conto che in realtà anche le scene positive hanno uno sfondo malinconico e scuro: “questo non è il nostro paradiso!” gridano gli interpreti, prendendo per mano uno spettatore alla volta come se fosse il proprio amato e fuggendo, cercando un posto dove il loro amore e la loro felicità è veramente possibile. Tale luogo c’è, ed è dove i diritti umani sono per tutti, dove mancano la guerra e la sofferenza. Dove gli uomini si rendono conto che sono tutti pari e che la diversità è da celebrare, non vedere come difetto.
Al termine dello spettacolo si è invitati ad uscire in silenzio, e non si riesce a non essere in silenzio perché dopo un’opera così forte, nell’immediato non si riesce a dire nulla, non si riesce a fare nulla se non pensare, riflettere su quanto visto. Complimenti agli attori della compagnia del Lemming per la potenza dei loro gesti, delle loro parole.
Paolo M.
Appena entrati Massimo Munaro ci ha accolto elencandoci varie avvertenze, come per esempio quella di togliersi gioielli e scarpe.
Il suo teatro infatti lo possiamo considerare rivoluzionario proprio perché lo spettatore diventa attore di ciò che vede. Per questo è meglio togliersi cose piccole e preziose onde evitare di perderle.
Infatti dopo essermi tolta anelli, orecchini, scarpe e aver sciolto i capelli, insieme agli altri 5 spettatori siamo andati nella sala dedicata allo spettacolo.
Tutti per mano abbiamo percorso una parte del teatro, c’era molto buio.
Una volta arrivati Massimo ci ha fatti sedere lungo una linea bianca, da una parte c’erano attori vestiti di bianco, dall’altra attori vestiti di nero.
Gli attori stavano a rappresentare l’antichità o comunque gli abitanti della città di Troia con i relativi guerrieri, noi eravamo l’attualità.
Inizialmente stavano combattendo tra di loro, poi hanno iniziato a tirare delle frecce verso di noi.
Nel frattempo una voce ha iniziato a prendere parte allo spettacolo, parlava di attualità.
Una serie di iniziative riguardanti tutte le guerre attuali, si parlava per esempio di guerra in Ucraina con le relative importazioni di armi e navi da battaglia.
A un certo punto gli attori ci prendono per mano ci fanno percorrere insieme a loro gran parte della sala, poi ci aiutano ad indossare una tunica bianca.
Poi a rotazione gli attori ci prendono e ci mostrano vari espedienti.
L’attrice che mi prese mi mostrò una pedina immersa nel riso, poi andai da uno che tra le mani teneva il cavallo di Troia, stratagemma per assediare la città, lui continuava a mettermelo nelle mani con una certa cattiveria frutto di delusione, un’altra mi pettinò dolcemente i capelli, ricevetti delle rose gialle, poi mi venne dato nelle mani un bambolotto e poi asciugai le lacrime di una donna.
Tutto molto particolare e che andava a riprendere la vicenda troiana.
Continuiamo a correre in modo confusionario per la stanza.
Viene posto poi un telo rosso, una nave sulla quale cerchiamo di aggrapparci tutti, distesi per terra.
Veniamo poi collocati alla fine della sala, da un’estremità noi e dall’altra gli attori.
In questa fase si sono accentuati gli sguardi, profondi e provocatori.
Finisce lo spettacolo, sempre per mano usciamo fuori.
Questo è stato il mio primo spettacolo appartenente a questa forma di teatro rivoluzionaria.
Inizialmente mentre raggiungevamo la sala avevo un po’ di paura perché c’era buio e non sapevo dove ci avrebbero portato.
Quando siamo entrati ero un po’ spaesata, gli attori combattevano vicinissimo a noi.
Poi ho però percepito la magia di ciò a cui stavo assistendo
Un’infinità di sguardi ha inondato la stanza, mi sentivo a volte in imbarazzo, gli sguardi erano così intensi e toccanti.
Io mi sono sentita infatti molto toccata, questo spettacolo giocava infatti sulla sensibilità dello spettatore.
Toccata perché, anche se non personalmente, facente parte di questa società mi sentivo colpevole.
Una società che sembra aver tirato fuori il passato, riproponendolo.
Le guerre non sarebbero più dovute accadere ma l’uomo non riesce a trattenersi dalle sue azioni.
Azioni che colpiscono tutti, proprio come messo in scena dall’attrice che cullava tra le braccia, sommersa dalle lacrime, un bambino.
Questo spettacolo mi è piaciuto tantissimo, mi ha toccato moltissimo.
Mi ha fatto vedere in correlazione la nostra società e la società antica.
Un tuffo nel passato che credo che tutti debbano fare.
Martina G.
Oggi pomeriggio ho assistito alla vostra performance
Che dire …
Toccante è dire poco
Direi più penetrante
Nell’anima, nella coscienza
Confrontarsi con una realtà che vediamo tutti i giorni ma che non ‘vediamo’ realmente… non abbiamo idea di cosa significhi vivere la guerra.. quel dolore e negazione della vita che nessuno dovrebbe conoscere…
E’ stato impegnativo … ‘brutto’ ma bello…
Coinvolgente
Mi sono portata a casa quel dolore
Grazie
Federica I.
La sofferenza.
La sconfitta umana.
Questo fallimento ci pone di fronte strumenti potenti.
La possibilità di fermare e cambiare.. scegliendo.
L’arte e la comunicazione.
Questo mi avete dato ieri. Strumenti potentissimi.
Ho pianto perché percepire e sentire come all’unanimità l’UMANITÀ rinuncia a questa scelta.
Sofferenza perché l’umanità ha l’arma per fare la trasformazione e non la utilizza.
Dovrebbero tutti almeno una volta passare attraverso le scene del Lemming..
Nelle piazze possano veramente rendersi conto che tutti possono fare realmente qualcosa.
Tutti possono vivere quello che accade.
Invece l’essere umano lascia accadere.. finché cade.
Almeno per una volta tutti dovrebbero mettersi in posizione di attore e non spettatore.. di far battere i cuori agli altri e non di togliere il cuore.
Possa questa comunicazione arrivare a tutti.
È necessario fare parte di questo.
Spero che le repliche di spettacolo possano essere le uniche mitragliatrici che sentiremo.
Ripetizioni di incontri per trasformare.
Ripetizioni per abitazioni.. finché sarà normale coricarsi a terra per guardare il cielo.
Non stesi a terra morti.
“Abitazione” non è una cosa la casa .. è vivere luoghi e persone, e sentirsi ospitati ..come a casa
“Abituazione” all’essere l’altro, come puoi non amare l’altro se sei tu?
“Per sempre è Presente” Oggi. Possiamo fare qualcosa che valga per il “per sempre” degli altri
“Vedo casa in ogni cosa” Questo dovrebbe ognuno vivere. Come puoi fare male a qualunque cosa.. quella è “casa”.
Grazie per dare voce e scuotere per cambiare.
Alessandra R.
Dapprima è stato il rifiuto di essere lì. No, io non sono come voi, non sono fra voi. Poi, il dolore autoprocurato, una spazzola-frusta con cui colpirsi per non sopravvivere, per non salvarsi. Il freddo del tradimento nel pane, così estraneo e così quotidiano. E la madre, abisso di tutte le ferite, la sua carne squarciata che ti gronda addosso, il suo cuore oppresso senza respiro: guarda! Guardami! Perché guardo sempre a terra? Sei qui, sei qui anche tu, questa vita, queste morti, questa deriva, ti riguardano.
Il rifiuto avrebbe voluto urlare, graziarmi con un gesto liberatorio che mi individuasse e invece no, sei qui, sei in mezzo a noi, questo silenzio ti riguarda.
Una pietà afflitta e impotente mi accompagna fuori, una sensazione dolorosa di miseria.
Cosa posso fare? Cosa posso fare, io, oggi?
Dear Teatro del Lemming,
I am holding your letter in my hands two months after the performance. It was the end of March when you visited Sweden, Gothenburg.
I got the chance to participate in the workshop given by Diana Ferrantini on the Tuesday, and the Friday after invited to step into the world of Trojan Women, and into a place where so many threads of how society lives are interwoven with myths, questions of individual and collective responsibility and caretaking.
And I wanted to say thank you.
Thank you, Diana, for the incredibly beautiful workshop, for making us dance through the room with our eyes tied, for introducing us to exercises and one another. I left being all inspired and nourished on a heart level.
Thank you to the whole team for that half in hour on that evening in March. You all left me speechless and touched, inspired and connected. Thank you.
Thank you, Massimo Munaro, for the dramaturgy and direction. Reading the text you wrote, and that is now lying next to me and the envelope, opened so many doors and is so well written; weaving together myths and current sociopolitical matters, while putting them into relation so smoothly and poetically that they not only make sense but expand the question of meaning making.
I am currently studying performance art and therefore have been visiting many performances over the last months, but none of these left me so touched and stayed with me that much as your piece did. And the magic was that it only took half an hour. When I left that Friday evening, with the letter in my hand, I was on the way to another event. I made my way and stared walking, to only end up in a small park next to the event’s location. It felt disrespectful to venture into the next ‘meal’, the next consumption of information or movement, so soon after. I didn’t want to overwrite what had happened and just add another ‘something’ to the day. And so, I sat down on a bench, staying with the feeling the performance had left in me. The sensation of caretaking, of honest connection, of stories that weren’t mine but that I was part of, and the admiration of the beautifully crafted choreography. And it stayed with me until today.
Thank you again.
I am wishing you a nourishing time,
Mirja
At first I just wanted to say thank you
I read the text afterwards. Of course, it deepened the experience. But when I went to the performance I didn’t really know what to expect. Me and my friend who came with me had been discussing for several weeks what it is to communicate without words. So when we walked into the room and everything started, it was as if the wordless communication we had talked about came to life.
I didn’t know if I was dead or alive during the performance, or where we were or where they were taking me, but it was incredibly special to meet strangers, as if they knew me, and like they expected to share their feelings with me. To have such a fragile and strong meeting,with someone who doesn’t use words. It feels like I often hide behind words otherwise, except sometimes with my partner or when we said goodbye to grandma after her death and she laid still and we no longer could use words. So after the performance was I completely shaken.
I will have that meeting in my heart for a long time, to be so close to another human and meet their feelings and story. It’s like we often distance ourselves from each other but there was no distance here, it was hard, beautiful and sad at the same time, a bit of an inner emotional chaos, and I learned a lot about myself in that, I i will think about it, the weeks to come.
Thank you again for an incredibly emotional experience, I would love to see more from you.
I feel inspired, both artistically and as a fellow human being.
/ saga s.
Eravamo solo in dodici spettatori e nessuno di noi sapeva in che modo bizzarro si sarebbe svolto questo spettacolo. Per prima cosa, ci siamo tolti giubbotto ,scarpe e i gioielli più ingombranti. Dopodiché ci siamo stretti tutti per mano e al buio siamo stati portati nella sala dello spettacolo.
Ci hanno fatto sedere in mezzo a due schiere di quelli che erano due popoli in guerra. Ci siamo accomodati a gambe incrociate sulla linea bianca che divideva il palco a metà, in modo da poter guardare sia alla nostra destra che alla nostra sinistra.
A un certo punto, ogni attore ha scelto uno di noi, venendo nella nostra direzione per farci alzare.
Un po’ me lo aspettavo che sarebbe stato uno spettacolo fuori dagli schemi, ma mai sarei arrivata a pensare di interagire con gli attori così come abbiamo fatto. La loro interpretazione è stata straordinaria: ogni movimento del corpo era carico di espressività, così come ogni gesto e ogni sguardo.
Il narratore raccontava della guerra di Troia facendo un parallelismo con la guerra in Ucraina. Parlava delle differenze tra le armi attualmente a disposizione dell’Ucraina e delle cinquanta navi che, invece, avevano gli Achei.
In pochi minuti, siamo stati trascinati in un vortice di emozioni contrastanti: dolore, paura, tenerezza e pietà si sono intrecciati, facendoci sentire completamente disorientati.Il clima era talmente carico di emozioni che ad un certo punto mi sono perfino commossa , era come se la sofferenza che l’attrice davanti a me stava mimando , entrasse in me come vera.
Gli attori ci hanno fatto girare, muovere nello spazio senza un punto di riferimento, e in quel momento abbiamo compreso cosa significa trovarsi improvvisamente nel caos, come chi si ritrova a dover affrontare una guerra dentro la propria casa, senza sapere dove andare, cosa fare, o a chi aggrapparsi.
Ma è stato il finale a dare il colpo di grazia: quando ci hanno attaccati tutti al telo, abbiamo capito con una chiarezza brutale che siamo tutti sia aggressori che difensori. Eravamo uniti da quella rete, simbolo di un dolore collettivo, di una sofferenza che attraversa i confini e ci lega tutti, indipendentemente da quale lato della guerra, della vita o della storia ci troviamo.
Lo spettacolo si chiuse con un potente discorso sui diritti dell’uomo, ricordandoci che tutti nasciamo con gli stessi diritti, indipendentemente da chi siamo, da dove veniamo o da quale ruolo la vita ci assegni.
È stata un’esperienza sicuramente da provare, qualcosa che va oltre la semplice visione di uno spettacolo teatrale e che lascia un segno profondo.
Cari e care Francesco, Nicole, Pasquale, Riccardo, Raul, Teresa, Elena, Veronica, Maddalena,
Cosimo, Chiara, Katia, Marina, Massimo,
dopo Edipo, Dioniso e Penteo e Amore e Psiche, stavolta è successo qualcosa di diverso. Stavolta
qualcosa è entrato veramente e in modo più profondo. Come accennavo nella lettera di risposta ai tre spettacoli della Tetralogia, sono state tutte esperienze interessanti e certamente intense da provare, eppure è sempre mancato qualcosa, quel poter dire, in tutta autenticità: sono diventato, che si trattasse di Edipo, Penteo o Amore.
Mi sono chiesto da che cosa sia dipeso questo e le motivazioni possono essere molteplici, tuttavia
credo che gli elementi decisivi siano stati la diversa tematica e il forte senso di attualità della
vicenda condivisa.
Se ripenso ad Edipo, Dioniso e Penteo e Amore e Psiche penso al sogno: una parentesi onirica dalla
realtà che è in primis un’opportunità di esplorare, curiosare, sfogarsi, divertirsi avendo però sempre
ben presente che è un qualcosa da cui poi ci si sveglierà.
Con Aeneas invece è accaduto l’esatto opposto: è stato un essere gettato nella cruda realtà storica.
Ho provato l’assordante angoscia di sentire la sirena antiaerea, di ritrovarmi nel caos della gente che combatte, muore, fugge terrorizzata, ho compartecipato al lutto e alla disperazione, alternati a quelle fortunate occasioni di gioco, pace, tenerezza.
È quello che è sempre successo e continua a succede ancora oggi, anche ora, in questo stesso
momento mentre scrivo, nel mondo. E per quanto si possa empatizzare leggendone sui giornali o su
internet o vedendolo attraverso lo schermo del televisore, ci è sempre concesso il lusso del distacco, non trovandoci nel vivo della vicenda.
Vivere questa esperienza ha significato per me raggiungere, rispetto a tutto ciò, un altro, più elevato,
livello di empatia, ecco. Nel vero senso per cui empatizzare con qualcuno significa sentire sulla
propria pelle il vissuto di un’altra persona, al punto di sentire di essere noi stessi quel qualcun altro,
per un momento breve o lungo che sia.
Ecco perché questa volta posso dirlo: sono diventato uno sfollato sotto i bombardamenti, un
profugo disperatamente in fuga. E le alternate occasioni della condizione opposta non fanno che
accrescere il senso di ingiustizia per l’ineguaglianza delle sorti. Perché noi siamo qui a poterci
concedere vittoria, spensieratezza, amore, gioco, coccole, quando contemporaneamente lì a due
passi da noi qualcun altro muore di paura, stringe un bambino morto, sta attraversando il dolore
della perdita e del lutto?
Concludo questa lettera dicendo che stavolta mi si presenta l’occasione di fare io un regalo a voi.
Nel corso degli anni mi è capitato di dedicarmi alla scrittura di racconti brevi e nel 2022 ho
partecipato ad un concorso letterario incentrato sulla tematica della guerra, ispirato allo scoppio
della guerra in Ucraina.
Ho ripensato a questo mio racconto mentre ero lì a vivere l’esperienza di Aeneas, per l’affinità di
tematiche e di messaggio veicolato. Un’affinità che naturalmente sento tuttora e per questa ragione
ho piacere di condividerlo con voi, inviandovelo assieme a questa lettera e scrivendovi io questa
volta sarei felice se mi scriveste le vostre impressioni.
vi ringrazio,
Davide B.
Lo spettacolo “Attorno a Troia_Aeneas”, che riunisce e collega i due precedenti spettacoli del medesimo ciclo, mostra l’utopia di coloro che pensano di poter ricostruire sulle macerie, nascondendole come polvere sotto il tappeto. Durante lo spettacolo, è forte il senso di immersione nelle diverse fasi, durante le quali l’attore diventa una guida, che indirizza lo spettatore, attraverso movimento, espressioni, e poche frasi, chiare e concise, a vivere ogni situazione immedesimandosi, prima attraverso la visione della guerra contro gli Achei, poi con l’azione diretta nel dolore delle Troiane, e infine con la mente durante la dichiarazione dei diritti umani. Il passaggio da carnefice a vittima provoca un senso di colpa angosciante, sottolineato dal paragone con il mondo moderno, che ci rende tutti complici del clima di distruzione e smarrimento che viviamo e generiamo. Dopo lo spettacolo, il senso di inquietudine mi ha abbandonata, lasciando però spazio alle domande, che sorgono spontanee dalla visione degli orrori e delle sofferenze che, attraverso la guerra e il nostro egoismo, causiamo a noi stessi e all’ambiente che ci circonda. Se siamo veramente così coinvolti, sia da distruttori che da vittime, quanto siamo veramente disposti a sacrificare per distruggere quello che consideriamo il nostro nemico?
Rosanna A.
L’immersione all’interno dell’opera è estrema: se all’inizio lo spettatore viene introdotto a una dinamica di conflitto da una posizione estrema, ovvero la linea di battaglia che divide gli attori del conflitto, alla fine diventa parte integrante della tragedia. Entra a contatto con diversi personaggi e allo stesso tempo nessuno, autentiche vittime e persone piene di speranza che vengono risucchiate dall’anonimità dello spirito la cui vita viene cancellata senza ragione.
Uscendo di scena lo spettatore, diventato esso stesso vittima e attore della tragedia, sente di aver perso qualcosa, di essere stato costretto ad abbandonare una parte di sé all’interno della scena.
Grazie!
Alessandro P.
Ho visto ieri sera il vostro spettacolo e l’ho trovato emozionante, coinvolgente e bellissimo nella sua tragicità. Faccio volentieri la strada da Verona per venire ad assistere ai vostri lavori. L’unico rimpianto è quello di non poter frequentare i vostri laboratori..! Continuate così. Il Teatro ha bisogno del Lemming..!
Paolo D.P
Buongiorno e ancora grazie!
Ho letto più volte e sto rileggendo la lettera, ma non riesco a focalizzarmi sui temi della distruzione e dello smarrimento, probabilmente ho un tratto caratteriale prepotente che mi obbliga a prospettive di ottimismo
Inizierei con considerazioni personali sulla musica
E’ perfetta In questo spettacolo la musica è stato il faro di bellezza nella tempesta di terrore, pianti, urla, buio, sudore E fuoco Ne riconosco (senza fatica) l’originalità, ma ci vedo un omaggio a The beginning di Ryan Arcand Non tanto per l’associazione alla tematica del sangue versato, ma perchè anche prima di iniziare a scrivere, l’essere umano non si arrende:
prova, sbaglia, sbaglia ancora e sbaglia meglio, si dimentica di un torto che non ha subito, giudica chiunque e assolve sè stesso, uccide per il gusto di farlo e crede di essere in cima alla catena alimentare.
Ma di contro inizia a restaurare l’Arena di Verona nel MedioEvo, dipinge con qualsiasi tecnica, non si rassegna agli insulti del tempo e sa ricordare
Forse io per prima non so capire, ma le civiltà umane lasciano patrimoni di qualsiasi tipo: il codice di Hammurabi, la sedia elettrica, l’UNESCO, […] e così in queste note leggere ho avuto la sensazione di essere accompagnata lungo i secoli per trovare, di fatto, un percorso che si è ripetuto molte volte uguale ma a cui è possibile dare un finale diverso
Anche il silenzio (che è stato pochissimo), le sirene, le percussioni e il buio hanno imbastito l’architettura perfetta
In merito all’autentico protagonista dello studio, Aeneas, inizialmente non ero riuscita a riconoscerlo
Sicuramente Ettore non poteva non essere nominato, per lo spessore straordinario del personaggio – per conto mio maggiore di quello di Agamennone – ma la presenza costante che ho scorto io è stata quella del Re Topo (di Hoffmann o Petipa?)
Proprio perchè perfino il Re Topo non aveva nessuna possibilità di vincere
Rileggendo la lettera e pensandoci di più, Aeneas non è mai rimasto in disparte
Trovo particolarmente efficace l’idea di sfruttare due palchi all’inizio, quando urlano le sirene,
e trovo altrettanto geniale il richiamo alla forma perfetta del cerchio, che non è possibile ottenere singolarmente
Lo spazio è stato padroneggiato in maniera sicura e professionale; ero veramente stanca ieri e ho fatto fatica anche ad alzarmi, sicché quando c’è stato da correre siete stati molto bravi anche a non ridere e ringrazio anche per questo
Restando in tema di professionalità, resto sempre ammirata e non posso capire quanto possa essere difficile
Soprattutto in termini di pazienza, perchè ho un carattere giocoso e ormai sono grandi anche i miei nipoti
Quindi grazie ancora per considerare anche questa possibilità nel rischio calcolato
Ho provato a ripensare alla domanda molto valida di uno spettatore: “alla fine anche noi dovevamo camminare?”
considerando che il gruppo precedente lo aveva fatto, in questo momento non vorrei sapere la risposta
Probabilmente il lavoro finale dopo questo studio me lo saprà suggerire
Vi auguro buona continuazione e spero ci sia occasione di rivederci anche prima del lavoro finale, che dallo studio si preannuncia veramente magnifico
A presto,
Chiara B.
Un saluto a voi!!
Eccomi finalmente con la recensione o meglio, una raccolta di pensieri e stimoli avuti ieri, con Attorno a Troia.
Che dire, tra le performance cui ho preso parte, questa è quella più “recitata”, nel senso, la recitazione ha una parte molto importante, non solo da parte degli attori ma anche dello spettatore.
Il linguaggio non verbale la fa da padrona, sin dall’inizio, dove dalla quotidianità del nostro vivere passiamo alla caoticità, quella fastidiosa, dove lo spettatore si sente inerme di fronte a quanto accade (la sensazione che ho avuto, prima nel sentire i soli rumori e poi vederli).
Nel momento in cui eravamo al centro della scena, non ho avvertito l’essere assieme agli altri compagni d’avventura…è come se fossi stato da solo, circondato dal doppio “spettacolo” del caos, dove anche la voce narrante diventa confusa e ritmicamente sostenuta, proprio come gli attori in scena (urlo finale compreso).
Il climax quindi in cui è calato lo spettatore diventa insopportabile e gli attori di ieri pomeriggio l’hanno ben testimoniato: dal dolore alla frenesia, alla deformazione fisica…c’è tutto!! e in questo lo spettatore ha un ruolo: inizialmente passivo (subisce i fatti, inerme, vede e non agisce) dall’altra si sente parte integrante, cambiando attore/attrice di volta in volta: il dolore, la perdita fisica, la compassione, la rosa..se fossi un attore avrei ben preso parte al dolore ma ho cercato comunque di dare il massimo, ci tengo particolarmente, sono degli spettacoli terapia per me, mi estraniano dalla realtà facendomela capire e Amare.
Il finale è affidato al cuore, al tessuto, cui tutti si affidano: la coperta è corta però e non c’è spazio per tutti, per dire: stop alla falsità e ai finti amori, quindi alle apparenze.
Nel mentre vi dipingo lo spettacolo (me lo ripercorro nella mente, senza lasciarmi influenzare dal foglio consegnato all’uscita), sto ascoltando due brani di Zucchero.
Valentino G.
La partecipazione all’evento ATTORNO A TROIA-AENEAS per 12 spettatori al Teatro del Lemming è stato coinvolgente dall’inizio alla fine. Mi aspettavo di “rivivere” il mito interiore della guerra tra Achei e Troiani; invece è stato l’odio del mio essere Acheo e del mio essere Troiano. E’ proprio l’odio l’incipit di questo studio. L’odio umano interiore, da cui non mi posso nascondere o esorcizarlo. Lo scenario vissuto è attuale, è vero, è davanti agli occhi di tutti con le vicende internazionali di questi dieci o più anni. Dopo l’iniziale visione dell’odio, la mia partecipazione è stata accolta da una richiesta: “che cosa si agitava nel mio cuore in quel momento?” Non ho colpe! Eppure il qui ed ora mi ha spinto ad entrare nel dramma della vittima e del persecutore attraverso i ricordi di un tempo passato ma che va ricostruito perché “questo paradiso” ora non c’è! Tra scenari di luci ed ombre, di fughe e ritirate si giunge umanizzandoci ad una consapevolezza universale: “siamo liberi ed uguali in dignità e diritti!”
Andrea P.