TEATRO DEL LEMMING – EDIPO Tragedia dei sensi per uno spettatore

DAL 28 OTTOBRE AL 3 NOVEMBRE 2024 – TEATRO STUDIO | Rovigo

In un’epoca di pensieri deboli e di fragili idee sul teatro, questo lavoro implicita la necessità di un ritorno al senso originario e profondo dell’esperienza teatrale.

Il teatro, al contrario di quanto comunemente si pensa e si pratica, non nasce come mera rappresentazione ma è, prima di tutto, accadimento: l’evento, cioè, condiviso da almeno un attore ed uno spettatore, in uno spazio e in un tempo comune.
Se per i greci Dioniso era il dio del teatro, lo era per la sua capacità di instaurare, attraverso il teatro, il regno della con-fusione fra realtà e illusione. Da qui il noto paradosso che vede la tragedia operare «un inganno per cui chi inganna è più giusto di chi non inganna e chi è ingannato è più sapiente di chi non è ingannato»

Commenti (12)

  • “Edipo, Una Tragedia deiSensi,” mi ha fatto vivere un’esperienza impressionante. Mai come in quel momento ho compreso la potenza del teatro, il quale può coinvolgere a tal punto da far provare nella pelle dello spettatore sensazioni ed emozioni reali e concrete, cose che non avrei mai immaginato di provare. In quel momento ero IO Edipo, ero io il colpevole. Ho provato paura, vergogna, sentivo che avevo commesso qualcosa di inaccettabile, di sporco. Ho perso la cognizione del tempo, il cuore mi batteva mille, ero cieca e non sapevo cosa mi stava aspettando. I momenti dove ho
    provato maggiore tensione era quando mi trovavo fisicamente sola, perché anche dentro di me mi sentivo sola. Per quasi tutta la durata dello spettacolo ho sentito la presenza di qualcuno sul
    mio corpo che mi teneva la mano, che mi abbracciava e che camminava con me, questo mi dava grandissima sicurezza, mi faceva sentire protetta. Quando invece ero sola, mi sentivo persa,
    impaurita; come durante la prima fustigazione, nella quale ero distesa, inerme e sentivo l’odio di tutti, e ancora quando dopo un abbraccio mi sono ritrovata accerchiata da persone che
    ridevano di me e, infine, quando mi sono ritrovata sola con me stessa… tutto era buio, solo io e il mio riflesso davanti a me.
    Susanna

  • Buon pomeriggio sono Monica e voglio inviarvi le mie impressioni dopo aver visto Edipo.
    Appena entrata quando ho incontrato Massimo che conoscevo già al tempo in cui io lavoravo al bar teatro (1995/96)ed è stato bello incontrare un viso amico.
    Quando mi ha chiesto di lasciare le mie scarpe e i miei vestiti e che chiaramente avrei dovuto percorrere quel tratto di teatro da sola, ho sentito subito un brivido lungo la schiena come se sapessi che sarei entrata in qualcosa di molto più profondo che non era una semplice visione teatrale.
    Quando sono stata bendata seppur consapevole Ho lasciato che ogni mio centimetro di pelle potesse vedere, potesse sentire, ciò che non vedevo, e non sentivo.
    Mi sono spaventata quando Fiorella, l’oracolo ha iniziato a parlarmi tenendomi stretta la testa non capivo se stava parlando perché recitava o era qualcosa che era rivolto a me e ad un certo punto mi sono lasciata trasportare dal profumo della sua pelle che mi ha condotto piano piano a portarmi dietro questo profumo che mi ha accompagnato per tutta la tragedia. Mi sono lasciata guidare con fiducia, e quando mi viene dato un coltello e viene affondato in qualcosa che non so cosa sia bene, inizio a sentire le mani che trasudano un sudore freddo, mi spavento tantissimo, e urlo di vergogna perché non pensavo di poter fare un gesto del genere, ne percepisco il dolore.
    Quando poi sono stata accompagnata di nuovo dove tutto girava girava e venivo spostata mi sembrava veramente di entrare in un posto che non sapevo se ne sarei uscita viva.
    Tutto in una frazione di secondi ho capito che la situazione stava diventando molto più quieta, il profumo del borotalco che mi ha ricordato tempi andati, ma allo stesso tempo, avevo freddo e un misto di paura, probabilmente preparatoria per una qualcosa di molto più tragico.
    E’ stato lì che ho sentito nell’ adagiarmi, un coro! Mi chiedeva cosa ho fatto, questo vortice di respiri che parevano quei sottofondi dei film horror ( che non guardo mai)
    Era come se mi stesse entrando dentro nel corpo, un malefico , qualcosa di sottile che non aveva forma. Solo quando sono stata avvolta dagli abbracci, quando ho mangiato la mela mi sono detta : “ma allora tu ti fidi? di tutto quello che ti capita e lo prendi senza nessuna regola nessuna premura” ho sentito il profumo delle donne che mi abbracciavano soprattutto di una che mi cantava nell’orecchio e che mi diceva che non dovevo chiedere risposte alla ragione che non dovevo ragionare. Ho provato un grande piacere quando sono stata accarezzata, quando ho accarezzato i corpi che, non conoscevo ma ne sentivo il calore, l’ intensità, una sorta di avrei voluto, e avrei potuto anche baciare e farmi baciare, e non sapevo da dove arrivasse! boh !!ho provato delle emozioni molto forti che si sono risvegliate dentro di me come se fosse qualcosa di lontano, sopito, sepolto, antico.
    Ho dimenticato che oltre a un corpo, ho anche dei desideri che probabilmente li nascondo, è si li nascondo bene.
    Poi, il risveglio da questa estasi quando sono stata portata verso la rivelazione e dovevo guardare sono rimasta perplessa , quasi incredula perché mi sono vista, ho visto me stessa in quello specchio, mi sono riconosciuta come persona e che nonostante tutto era sopravvissuta. Quando mi è stato chiesto di scegliere se andare verso la parte nera o la parte bianca, ho scelto la parte nera quella più oscura perché probabilmente non sono ancora conscia delle sfumature che tendo a nascondere ogni giorno, e quando ho visto la rivelazione, queste due persone che si toccavano e si baciavano è stato veramente qualcosa di grande perché io volevo vedere, sono tornata indietro nonostante mi avessero cacciato ma io volevo vedere!!!
    allora mi sono chiesta cos’è che voglio vedere? E da questo momento in poi ho deciso di partecipare alle serate del laboratorio del vostro teatro che trovo sia veramente di una profondità unica e il filo conduttore è il vedere, guardare, guardare con occhi che non usiamo mai ,guardare oltre quello che è il nostro giudizio che dico sempre di non usare ma che invece utilizzo soprattutto nei miei confronti mi giudico e non mi reputo mai abbastanza. Colgo l’occasione e vi ringrazio di cuore per aver tirato fuori in questa mezz’ora tutto quella abisso che spesso mi infilo dentro mi perdo ma non guardo con gli occhi dell’anima Grazie

    Monica

  • I have this sense of initiation from the Oedipus play as well. I hold two moments:
    1. the one where I killed without seeing, knowing, wanting, being sure, being able to. As if
    something outside of me had decided and executed it.
    and
    2.the one where after a whole journey full of non-choices, non-control, ignorance, feelings,
    encounters and enjoyments when I opened my eyes there was only a mirror and it was
    looking at me, but I didn’t know if I recognized myself.
    Tereza

  • Lettera di restituzione, Edipo. Tragedia dei sensi per uno spettatore (2024)

    Ho esitato davanti alla Sfinge. Sicuramente non ho il lignaggio, la caratura, il coraggio di un discendente – sia pure dannato – di Cadmo e Armonia. Eppure, l’enigma lo conoscevo. Ricordo che mio padre me lo pose per la prima volta da piccolo, durante uno di quei lunghi pomeriggi passati intorno al tavolo da pranzo di mia nonna. Avevo in bocca il sapore acidulo dell’Acqua della Madonna e dal Romeo Menti saliva odore di erba bagnata. Mio padre giocava spesso con me ponendomi degli indovinelli e alle volte passavo ore a risolverli. Quando mi sottopose l’enigma della Sfinge non so se ne conoscesse l’origine…
    Intorno al tavolo da pranzo di quella accogliente casa operaia sentivo lui e i miei zii discutere di politica e di attualità ed iniziavo a covare il desiderio di essere riconosciuto come pari, di poter partecipare al discorso, di comprenderne il ritmo e le regole. Volevo stare seduto su una sedia intorno al tavolo, spaccare noci con le mani, bere vino con le pesche e caffè. Parlare anche io della Cina e della globalizzazione, dell’euro appena arrivato, delle guerre… Mio papà mi sembrava il padrone del linguaggio e del presente, il custode della realtà e del suo senso. Se penso a quanto eravamo piccoli tutti quanti intorno a quel tavolo… Presi dentro una serie di processi infinitamente più grandi di noi e della nostra comprensione. Navigavamo la piena esplosione del mercato globale, la guerra al terrorismo su scala planetaria, il piano inclinato che avrebbe condotto alla crisi finanziaria del 2008 e al definitivo smantellamento del welfare, in una piccola sala da pranzo piena di fumo di sigaretta al Rione San Marco di Castellammare di Stabia. Imparavo a parlare, desideravo parlare. «Dal momento che l’essere umano è parlante, tutto è fottuto» scrive Lacan nel seminario XVII, Il rovescio della psicanalisi.
    Quando la Sfinge mi ha interpellato forse ho cercato di evitare la gloria, sperando che evitare la vittoria sul mostro avrebbe potuto deviare la via tracciata dal destino. O forse sono rimasto in silenzio perché ristupidito dalla benda, da un’incomprensibile paura di sbagliare, dall’attesa per ciò che sarebbe poi accaduto, dalla voce spettrale del mostro, dallo schioccare della sua lingua fredda in prossimità delle mie mani. Probabilmente entrambe le cose. Ma la prima è più interessante. Ho cercato di aggrapparmi all’innocenza di chi non prende parola rimanendo passivo, in-determinato, inesistente e perciò illusoriamente totipotente. Ho trattenuto la parola, sperando questo mi permettesse di schermarmi, di non essere esposto al rovesciamento, alla catastrofe cui va incontro Edipo.
    Infanzia viene dal latino infans, letteralmente “senza capacità di parlare”, “senza parola”, che rimanda all’afasica esperienza pre-discorsiva durante la quale siamo integralmente consegnati alle cure materne. Ho tentato dunque di infantilizzarmi, subito dopo aver piantato una lama nel corpo di Laio. Volevo riguadagnare la mia innocenza, forse nascondere a me stesso la voglia scandalosa di passare al secondo peccato di Edipo, forse nascondere a Giocasta la brama che mi spingeva tra le sue braccia. Il senso di colpa per l’uccisione del padre mi ha condotto a voler interdire il mio desiderio incestuoso, ha attivato un tabù. In ogni caso ho provato vergogna, sono rimasto in silenzio. Non ho detto ciò che andava detto: “l’uomo”.
    Per Lacan l’accesso al Simbolico, al linguaggio e alle relazioni sociali, è mediato dalla castrazione. Parlare vuol dire accettare la mancanza, accedere al desiderio e al riconoscimento, perdendo il godimento originario legato al materno. Il tabù dell’incesto è alla base dell’apertura del singolo alla società e parlare vuol dire muoversi entro lo spazio dischiuso dalla castrazione. Impedendo la fusione del figlio con la madre, il padre incide nel figlio una mancanza che è condizione di possibilità del suo desiderio, del suo dirigersi verso altro, oltre il rapporto speculare e narcisistico dell’Immaginario, in cui rimarrebbe intrappolato altrimenti, nell’illusione di poter ritrovare la sua unità allucinando una fusione con il materno…
    Dopo aver giaciuto con Giocasta mi sono trovato infatti davanti alla mia immagine in uno specchio e, tra le due figure che mi chiamavano a sé, ho optato per la figura rassicurante vestita di bianco, perché stremato dalla dinamica emotiva appena attraversata, fisicamente e mentalmente stanco, desideroso di pace. Scegliere è stato comunque doloroso, data l’illusione di ricomposizione offerta dallo specchio. Un momento di calma e silenzio, l’unità della mia immagine e poi nuovamente la necessità di esistere, spezzarsi, perdere qualcosa in favore di qualcos’altro, non essere tutto, determinarsi. Credo però che il mio scegliere la figura bianca sia stato simile al silenzio davanti alla sfinge: un tentativo, votato al fallimento, di scegliere di non-scegliere, trattenendomi tra le braccia di una figura femminile dispensatrice di cure. Mi sono nuovamente aggrappato ad Antigone, figlia e sorella, e quasi non volevo uscire dal teatro. Che mi venisse indicata l’uscita mi ha fatto sentire come in Penteo e Dioniso: giustamente punito, cacciato dal luogo che mi aveva promesso un godimento osceno, ripiombato nel grigiore del quotidiano. Ho esitato nuovamente: “e se rimanessi qui?”, Antigone non pareva essere d’accordo, continuava ad indicare l’uscita…
    Durante l’amplesso ho provato vergogna, eccitazione, brama, desiderio di annientarmi e diventare un piccolo oggetto di cura. L’evocazione della dimensione infantile dell’attaccamento attraverso il canto portava a sentire un amore intimo e candido, quello del bambino verso la madre. D’altro lato la scena incestuosa, la presenza di altri corpi di donna, la seduzione, evocavano un tipo d’attrazione ben più torbida. Queste due dimensioni mi hanno portato ad un forte conflitto interiore, quell’ambivalenza che si può riassumere nella frase: “sii come il padre, non essere come il padre”, parafrasando Freud. Poi le risate degli altri, la paura del loro giudizio e un desiderio sessuale ingombrante, impossibile da nascondere e imbarazzante da mostrare… mi sono sentito come un ragazzino in pubertà. Sentire l’odore del borotalco mi ha ricordato quando i miei mi lavavano e, calato in questo contesto, ha suscitato emozioni contrastanti: mi ha ricordato la foga che avevo da ragazzino di lasciarmi l’infanzia alle spalle ed essere riconosciuto come adulto e l’angoscia che mi ha portato più volte a ripiegarmi malinconicamente sull’infanzia mentre davvero mi avvicinavo all’età adulta.
    Per concludere vorrei sottolineare la forza della scena in cui Tiresia porge la benda, ho trovato esprimesse molto bene l’inversione paradossale presente nel mito: l’indovino cieco è colui che vede mentre colui che pretende di vedere è cieco.
    PASQUALE A.

  • “chi sono io? come ho potuto vivere tutto questo?”. un po’ come Edipo mi sono sentita cieca nei confronti di queste domande che altro non hanno fatto che risuonarmi nella mente durante tutto lo spettacolo, nel turbinio di emozioni e di mie azioni che però venivano manovrate da altri.
    Sono Giulia e frequento da parecchi anni il Teatro del Lemming, per la sensibilità che ho è una tipologia di teatro che mi vede coinvolta di emozioni forti sia durante lo spettacolo che nei momenti successivi, dove lo scorrere delle lacrime sul mio viso fatica a fermarsi ed è tornata alla realtà che inizia per me, un lavoro di elaborazione di quanto successo. Edipo NON è un mito rilegato al passato, al contrario io credo che possa veramente parlare alla vita di ciascuno di noi in modo attuale. Questo contrasto tra l’aver compiuto un gesto atroce e la vicinanza di una figura materna che, proprio come quando si è bambini, con carezze e rassicurazioni ti bisbiglia all’orecchio che è solo un sogno. Personalmente ho vissuto molto la dimensione del senso di colpa, di un torto senza ritorno nei confronti della madre o di sbagli che riguardavano altre situazioni, in cui magari non vi era una persona come Antigone pronta ad abbracciarmi, a trasmettermi quel calore che contrasta con la freddezza delle scelte sbagliate.
    Grata di poter vivere queste esperienze che hanno la capacità di portare sempre alla mia anima, nutrimento e occhi diversi con cui poter guardare il mondo, anche quello che porto dentro.
    A presto!

  • Non so se quello che sto per scrivere rende anche solo in parte ciò
    che ho provato, vissuto, e pensato dopo questo spettacolo, ma vi
    assicuro che ogni cosa che scrivo è vera, sincera, e piena di
    gratitudine verso tutti voi, per i quali nutro sempre più una grande
    stima e un affetto caro.
    Non posso dire che Edipo sia lo spettacolo più bello che io abbia
    visto, o a cui io abbia assistito, perchè vedere e assistere non sono
    sicuramente i verbi adeguati.
    Io questo spettacolo l’ho fatto, insieme a voi, grazie a voi. Questo
    spettacolo parlava di me. E sicuramente, nella sua universalità,
    parlava di tutti gli uomini e le donne, ma in particolare io l’ho
    sentito vero per me, attuato nella mia vita.
    Nel piccolo della mia esperienza e del mio rapporto con il teatro, e
    soprattutto dopo avervi incontrato, Edipo, il vostro Edipo, è lo
    spettacolo più bello, più intenso, e più vero che io porterò nel
    cuore.
    (…) Sono entrato lasciando fuori ogni preoccupazione quotidiana,
    pronto a vivere Edipo, in ogni cosa, in ogni paura.
    Volevo lasciarmi portare, lasciarmi travolgere e farmi scoprire, non
    più come quando sono stato Penteo, venuto a sbirciare il vostro
    lavoro.
    E voi mi avete scoperto, mi avete portato in luce oltre quello che io
    pensavo di poter fare.
    Non avevo mai pianto a teatro, ma sopratutto non avevo mai urlato.
    Avete portato alla luce (oltre i miei occhi bendati, la mia solita
    compostezza e serenità) i miei sensi di colpa, la mia paura di esser
    giudicato, il timore perenne di sbagliare.
    “Che hai fatto Edipo” risuona ancora martellante nella testa e mi
    mette davanti a questo tempo di solitudine interiore che vivo davanti
    alle scelte. E come Edipo, che solo da cieco comprende di non aver mai
    visto realmente, io mi sono sentito nudo e cieco davanti al futuro.
    Come credo ogni uomo, in questi momenti di incertezza vorrei chiedere
    a mio padre o mia madre cosa fare. Ma la loro lontananza e le loro
    difficoltà mi hanno spinto, in questi dieci anni che vivo da solo, a
    sforzarmi di essere indipendente e maturo in ogni decisione, senza
    accorgermi della superbia e della presunzione che avevo sulla vita.
    Mai come in questi mesi, sento invece la stanchezza di camminare senza
    questa guida, e mi sono sentito come Edipo, cieco davanti alla storia.
    L’abbraccio sotto la musica, è stato l’abbraccio di mia madre e di mio
    padre. Vi ho amato come amo loro, come a chiedervi un aiuto. E quando
    mi sono alzato, convinto che mi aveste perdonato e che vi sareste
    presi cura di me, arriva quella risata.
    Che bella quella risata, un capolavoro! Stupenda. Mi si è gelato il
    cuore, mi sono sentito solo di nuovo, ma con un realismo che sento
    ancora adesso. Dopo aver urlato e pianto, sono stato deriso. Grazie
    per avermi bendato! È stata una sensazione viva, vera come il teatro.
    Per finire, il camminare sotto le fruste. Le ho prese tutte quelle
    frustate; le volevo prendere, volevo sentirmi colpevole come ha fatto
    Edipo, come se questo potesse espiare gli errori che ho fatto, e tutte
    le volte in cui avrei potuto agire diversamente. È stato bello
    sentirsi accompagnato, mi sono sentito come sostenuto da Antigone,
    cioè da tutte quelle persone che mi vogliono bene nonostante i miei
    difetti.
    Grazie per tutto questo e per il resto che non so esprimere a parole.
    Fate del bene a questo mondo e alle persone, e siete speciali.
    Un caro abbraccio,
    Giovanni

  • Buonasera,
    Mi chiamo Francesca e scrivo per raccontarvi la mia esperienza del vostro spettacolo, a cui ho assistito qualche giorno fa. Premetto che avevo già visto “Amore e Psiche” l’anno scorso, e che il mio ragazzo ha lavorato per un periodo insieme a voi, quindi avevo già una sorta di idea o aspettativa.
    Altra premessa: sono una persona che non ricerca emozioni troppo forti in questo ambito, anzi, tendo a opporre non poca resistenza di fronte a un coinvolgimento che per me è eccessivo, quindi avevo una sorta di ansia prima di venire.
    Ero estremamente spaventata all’idea di essere bendata, anche perchè io sono fortemente miope e da sempre il concetto di cecità mi trasmette una paura molto profonda e un senso di spaesamento che provo fin troppo spesso.
    Tuttavia ero molto curiosa (un po’ anche spinta dal mio ragazzo che ama i vostri spettacoli e li vive sempre molto intensamente), e ho deciso preventivamente di provare a fidarmi senza troppe resistenze, e il risultato è stato molto contrastante nei vari momenti dello spettacolo.
    Mi sono sentita minacciata e in pericolo all’inizio, soprattutto nel momento del vortice dei respiri, tanto da farmi sentire profondamente colpevole e meritevole di accusa e ostilità. Questo nelle scene successive mi ha portato a un sollievo enorme nel momento in cui mi sono sentita dire che era tutto un sogno, un sollievo tanto grande e importante da portarmi a provare vicinanza intima con la persona che mi stava abbracciando e proteggendo.
    Il resto nella mia mente è stato estremamente confuso e poco lucido, tentavo di farmi guidare senza porre le mie barriere mentali, ma forse in un modo troppo passivo, ero talmente spaesata da non riuscire a cogliere il reale significato di quello che stava succedendo, ho dovuto riflettere molto dopo leggendo il programma e confrontarmi con le persone che hanno assistito insieme a me.
    A distanza di qualche giorno mi sento addosso ancora molte sensazioni, la musica e gli odori, il contatto fisico e forse anche la paura, il terrore di un improvviso cambio di scena da cui potrei sentirmi minacciata, ma senza malessere, solo una sorta di curiosità mista a paura, appunto.
    Vi ringrazio perchè questa esperienza è stata per me una prova importante sui miei limiti e sul mio senso di fiducia, sulle sensazioni che riesco a provare a livello quasi inconscio e quelle che invece elaboro più facilmente e velocemente.
    Penso che dietro questi spettacoli ci sia una profondissima sensibilità artistica legata alle emozioni e alle impressioni che non potrebbe lasciare indifferente nessuno.
    Complimenti, e spero di tornare presto per un altro spettacolo.
    Buon lavoro!
    Francesca N.

  • Un saluto a voi!
    Premetto, ho aperto poco fa la lettera consegnatami ma non l’ho letta, solo osservata, In sostanza, questo commento che vi farò non è influenzato da quanto è scritto nella lettera stessa.
    Che dire, un’immersione profondissima anche stavolta, nonostante abbia già vissuto quest’esperienza tra la fine dell’anno scorso e quest’anno.
    In sostanza, non è stata per nulla una replica ma un modo per riavvicinarmi a questo personaggio, davvero amletico, ricco di contraddizioni, concentrandomi soprattutto sulle sensazioni che sulle parole pronunciate dagli attori coinvolti.

    Contraddizioni, come dicevo, che vedo fortissime in quest’opera, dagli abbracci alle derisioni. La coralità, il tutto all’oscuro, senza vedere nulla ma non è necessario vedere ma percepire, anche negli odori, i profumi, gli aromi e ovviamente il tatto, importantissimo in questo spettacolo sensoriale.
    Gli aromi – la mela, il tatto – il toccare qualcosa che è carne, è viva, è pulsante davanti a te e non vedere nulla, ripeto, non è necessario vedere o approfondire.
    La sensazione più forte? senza dubbio il toccare il coltello ed essere costretti all’uccisione di qualcosa – anche qui il toccare con mano la morte di qualcosa senza nemmeno vederla.
    Non da ultimo, lo specchio, un altro momento davvero forte..lo spettatore si sente frastornato da tutto ciò, ha bisogno di una pausa e la trova davanti a se stesso, conteso tra due figure, quasi un boia (senza falce in mano) e una ragazza, quasi avvenente nelle tentazioni avute precedentemente ma ti respinge, portandoti in altri mondi.
    Il saluto finale? E’ vero addio? la storia continua nelle nostre contraddizioni quotidiane.
    Valentino G.

  • é stato super intenso, ancora rivivo alcuni momenti che echeggiano dentro di me. Siete stati incredibili! Lo spettacolo é stato bellissimo, stravolgente, inquietante, rilassante, di tensione, da capogiro, umiliante e di coraggio tutto condensato in 30 Min. Davvero eccellente! Ringrazio tutti per le emozioni che mi avete fatto vivere

  • Ciao Nicolas
    ci è capitato più volte di fare EDIPO anche per uno spettatore cieco. Abbiamo replicato anche il lavoro all’interno del MUSEO OMERO di Ancona che è un museo tattile statale, dedicato a non vedenti, all’interno del quale lo spettacolo era stato ripensato appunto per un gruppo di spettatori ciechi.
    Lo spettatore veniva bendato nello stesso punto dopo di che lo spettacolo si svolgeva allo stesso modo. Nel finale lo spettatore veniva sbendato e poi invitato da una voce a tornare e da un’altra voce a proseguire. In quel caso, se lo spettatore seguiva quella voce, si trovava con le mani a toccare direttamente la scena dell’incesto con i due corpi nudi.
    Anche se lo spettacolo è nato nel 1997 e replicato migliaia e migliaia di volte ogni volta è diverso per gli spazi che incontriamo e per l’unicità irriducibile di ogni spettatore.
    Un saluto e a presto
    Massimo Munaro

  • Grazie per questa esperienza unica! Al termine del percorso, ho sentito il desiderio di rientrare nuovamente. Mi prenderò il tempo per assimilare e sono sicuro che tornerò quando sarà il momento giusto.
    Rimango con una curiosità drammaturgica: cosa succederebbe se lo spettatore fosse cieco?
    Questo mi porta a chiedermi quale risorsa utilizzi il regista dello spettacolo per concludere il percorso, affinché lo spettatore possa vivere pienamente l’esperienza.
    Ringrazio ancora, non solo per il lavoro presentato, ma anche per questa scelta di portare il teatro al pubblico.
    A presto!
    Nicolas

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